NOTIZIA

L’archivio Lamberto Vitali al Centro Apice: i carteggi del critico e le lettere con Giorgio Morandi

Se dovessimo semplificare con una espressione la complessa biografia di Lamberto Vitali (1896-1992), critico, storico dell’arte, fotografo e collezionista, potremmo usare la formula impiegata dall’amico pittore Gabriele Mucchi che lo accusava affettuosamente di portare “spessi paraocchi morandiani” e, quindi, di essere devoto alla sola opera di Giorgio Morandi.

Di Morandi, in Italia, del resto, Vitali era stato il massimo esegeta: un’amicizia nata negli anni della cartella di Graphica Nova (1928), poi consolidata nel tempo divenendo un punto fermo per entrambi. Nel 1957, Vitali aveva pubblicato per Einaudi l’opera grafica dell’artista bolognese, nel 1964 è la volta della monografia, infine, tra il 1977 e il 1983 (II ed. ampliata), aveva realizzato la grande impresa del catalogo generale dell’opera pittorica per Electa.
L’affermazione di Mucchi, un po’ guascona, contenuta in una lettera del 27 gennaio 1967 da Berlino era riferita alla possibilità che lo stesso Vitali gli potesse scrivere un testo per una eventuale mostra a Pisa, una rassegna della produzione in bianco e nero curata da Carlo Lodovico Ragghianti con a seguire il catalogo ragionato dell’opera grafica (pubblicato poi nel 1971 per Vangelista). Ma lo stesso Mucchi era consapevole della vastità degli interessi del critico che si estendevano dall’arte contemporanea alla fotografia, dalla grafica alla museologia, quindi molto oltre i “paraocchi morandiani” citati nella lettera.
Oggi ad arricchire la nostra consapevolezza di una personalità centrale nella cultura artistica nazionale del ‘900 vi è il lascito del suo archivio al Centro Apice dell’Università degli Studi: un fondo costituito quasi totalmente dal carteggio del critico con Morandi e con i più autorevoli personaggi della cultura artistica italiana ed internazionale.
L’epistolario è composto da una sezione di corrispondenza varia in 18 buste e da un nucleo di circa 800 lettere scambiate con Giorgio Morandi. I due gruppi di lettere sono ordinati per anno: quello di Morandi è riconducibile alla forbice cronologica 1927-1964, mentre il restante carteggio va dal 1915 al 1993.
Quest’ultimo nucleo appare estremamente rilevante per l’imponente consistenza di autografi di artisti e di critici. Tra i nomi più rimarchevoli si segnalano Bartolini, Carrà, Casorati, de Chirico, de Pisis, Giacometti, Manzù, Marini, Romanelli, Semeghini, Severini, Tosi e tra i critici/storici dell’arte sono presenti Apollonio, Arcangeli, Calvesi, Cassou, Cooper, Fierens, Lionni, Longhi, Marchiori, Nebbia, Praz, Ragghianti, Russoli, San Lazzaro, Solmi, Timpanaro, Tinti. I temi affrontati nelle carte sono disparati: dai progetti editoriali, all’organizzazione di esposizioni, ai rapporti con i musei. La corrispondenza con l’artista bolognese, altrettanto importante, è composta da lettere manoscritte, dattiloscritte e cartoline postali. Essa risulta cruciale per lo studio della biografia professionale di Morandi, nonché appare come un documento significativo del legame di amicizia e professionale che li univa. Il carattere integro del carteggio, la sua completezza, spiegano l’eccezionalità della raccolta che, una volta unita alle lettere conservate a Bologna presso il Centro Studi G. Morandi, può restituire la pressoché intera documentazione del rapporto tra i due.
La sicura pertinenza dell’archivio Vitali con i fondi conservati presso Apice, peraltro, è comprovata dalla simbiosi con l’archivio di Giovanni e Vanni Scheiwiller e dalle abbondanti tracce diffuse nelle diverse carte del Centro. Tra queste, basterebbe menzionare un documento conservato nell’Archivio Pinin Carpi che sembra essere particolarmente adatto alla ricorrenza del Giorno della Memoria. Si tratta di una lettera di Lamberto Vitali ad Aldo Carpi per l’occasione dell’uscita della prima edizione del Diario di Gusen (Garzanti, 1971). In essa, Vitali, commosso, ringrazia “l’amico patriarca” – Carpi aveva 87 anni – per la testimonianza “così intensa, così umana, così dolorosa”.

Che avesse toccato le corde profonde di una vicenda tragica e lacerante per lui stesso, di famiglia ebraica, non ci sono dubbi. Di questo travaglio è ancora Mucchi a darci un’istantanea nella sua autobiografia Le Occasioni Perdute (Mazzotta, 2001, pp. 166-168), quando, durante una cena insieme, nel giugno 1941, l’umore cupo di Lamberto Vitali per la persecuzione razziale si associava a sentimenti di paura per i propri cari e all’inquietudine per una condizione che ha segnato la sorte di molti.

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